martedì 27 marzo 2018

Storia del caffè: Fragile genetica dell'"arabica".





Delle 90 specie di caffè inventate, meno di 10 sono poi state effettivamente coltivate e solo 2 sono sopravvissute fino al XX secolo: la Coffea arabica e la Coffea canephora. La 1° è nata da un antico incidente cromosomico, che ha quadruplicato la propria sequenza di DNA; questa è l'unica varietà autogoma. I suoi fiori si autfecondano, anche se nel 10-20% dei casi si verifica l'allogamia ovvero l'impollinazione grazie ad insetti.Le altre piante di Coffea non possono invece autofecondarsi, ma scambiano permanentemente i geni col polline, il che le rende più resistenti ai parassiti. Di fronte al brusco aumento dl consumo nel corso del XVIII secolo l'"arabica" si è espansa troppo rapidamente, riducendo la sua base genetica a quasi 0; solamente alcune piante delle 2 varietà "Typica" e "Bourbon pointu" risultarono essere esportate e duplicate in tutto il mondo.


Nel 1706 una singola pianta fu portata da Giava ad Amsterdam e poi, nel 1714, venne donata ai vari orti botanici europei, da dove si trasferì successivamente nelle Americhe. Questo è stato chiamato gruppo "Typica". Nel 1715 la Compagnia francese delle Indie orientali stabilì il caffè dello Yemen (il "Mokha") sull'isola di Riunione, dove ha cominciato a crescere considerevolmente a partire dal 1724 o 1726. È la varietà chiamata "Bourbon Coffee", che a sua volta mantiene una sua quota in America, anche se in un misura ridotta.


In secondo luogo i coltivatori di queste 2 varietà selezionarono semplicemente i mutanti spontanei in quanto i loro incroci non consentivano nuovi genotipi sufficienti data la bassa diversità genetica: di conseguenza il caffè è rimasto "puro" per oltre 3 secoli. Derivato dal "Boubon" è il "Marogogype" dai grani grossi avvistato in Brasile oppure la varietà denominata "Caturra", con un'alta produttività e facilità di raccolta.
Provengono invece dalla "Typica" la "Kent" dell'India e la "Blue Mountain" della Giamaica; quest'ultimo ha permesso i primi successi d'intensificazione della coltura, in special modo nell'America Latina. Tra i vari ibridi "Typica-Bourbon" c'è la varietà "Mondo Nuovo" brasiliana. Inoltre l'ibridazionetra la "canephora" e una delle 2 arabiche, chiamata "Arabusta", risulta essere molto raro in natura: si chiamano barriere cromosomiche.
Più tardi gli esperti di botanica impareranno a creare artificialmente per raddoppio cromosomico della canephora attraverso il trattamento di Colchicina. Nel frattempo il primo passo è stato la scoperta nel 1917 nell'arcipelago di Timor di una popolazione di arabusta selvatica detta Hdt e assai resistente alla "ruggine del caffè" la quale aveva devastato le piantagioni asiatiche negli anni 1870.


Questa prima fonte genetica differente sia da Typica che da Bourbon ha permesso d'incrociare l'arabica e creare varietà come la "Catimor" brasiliana o la "Ruiru" del Kenya. La sua scoperta ha fatto crescere la fiducia e la ricerca sul caffè selvatico, condotta nei primi decenni del XX secolo lungo il bacino del Congo e che ha condotto alla produzione della "robusta" negli anni 1930. Quest'ultima peserà al 38,6% nella produzione mondiale di caffè al principio del XXI secolo.
Il suo contenuto di caffeina, che dipende molto più dal genotipo che dai fattori ambientali, è di circa il 2,5% rispetto all'1,5% presente nell'arabica e risulta più resistente alle malattie grazie a una base genetica più diversificata. Gli esperti di agronomia la considerarono essenziale per ringiovanire e differenziare le vecchie varietà di arabica. Tra il 1960 e il 1990, sotto gli auspici della FAO, decisero di tornare alle fonti delle popolazioni selvatiche dell'Etiopia per la creazione di ulteriori varietà migliorate.


lunedì 26 marzo 2018

Collaborazioni: Soulkitchen Bio





Recentemente, sta emergendo a livello mondiale un nuovo concetto che si basa sui principi della Responsabilità Sociale d'Impresa, ovvero il concetto di Valore Condiviso.

L’idea di Valore Condiviso sistematizza quanto è già stato sviluppato dalla teoria e dalla pratica in termini di Corporate Social Responsibility, contestualizzando il tema della sostenibilità sociale e ambientale su un livello più strategico che deve avere impatti fino alla reale bottom line di business.





Nel sistema di gestione aziendale di SoulKitchen.bio, l'attenzione alla comunità e agli stakeholders è divenuta di importanza cruciale.
I principi alla base della CSR di SoulKitchen.bio hanno come scopo quello di migliorare la qualità della vita della comunità.
SoulKitchen.bio ha messo al centro della propria policy la comunità non solo i suoi particolari stakeholder. Questo per evitare di adeguarsi ad una “etica” particolare, provinciale portando la CSR ad essere un insieme di “etiche” di “comodo” e d'"immagine" con tante regole particolari (morali, ideologiche) rinunciando “ad applicare un modello sociale condiviso”. 
SoulKitchen.bio ritiene che un prodotto non debba essere apprezzato unicamente per le caratteristiche qualitative esteriori o funzionali ma anche per le sue caratteristiche non materiali, quali le condizioni di fornitura, i servizi di assistenza e di personalizzazione, l'immagine ed infine la storia del prodotto stesso.
L'enunciazione di tale policy parte dal presupposto che l'attività d' impresa, pur restando imperniata sull'aspetto economico, non possa trascurare una serie di istanze interne ed esterne all'impresa, capaci di caratterizzare l'ambiente in cui l'impresa opera.
I parametri che SoulKitchen.bio ha voluto aggiungere al profitto aziendale riguardano una serie di variabili interne all'azienda, come relazioni umane, coinvolgimento degli addetti, consapevolezza dei ruoli, gratificazione e fidelizzazione, a cui si accompagnano parametri esterni come rapporti con clienti e fornitori. 
Il successo della nostra CSR viene calcolato attraverso il grado di soddisfazione dei vari target a cui ciascuna attività svolta è rivolta come processo e prodotto dell'impresa, secondo ben definite modalità quanti-qualitative.
La consapevolezza dei consumatori, circa la centralità di tali aspetti e la “tracciabilità storica” della catena dei processi, sta guadagnando importanza.

Risulta pertanto evidente come l'impegno “etico” dell'impresa sia basilare nella “catena del valore” prospettando così l'utilizzo di nuovi percorsi e leve competitive coerenti con uno “sviluppo sostenibile” per la collettività. 





SoulKitchen basa il proprio modello di business su 3 principi:
1 Etica e sostenibilità;
La situazione agroalimentare nel nostro paese, più in generale in Europa e ancora più in generale nel mondo è drammatica, sia in campo ambientale sia in campo sociale.

I suoli pochi anni fa erano più fertili: manca l’acqua, perdiamo l’humus.

L’agricoltura e l’allevamento intensivo fanno un consumo smodato di acqua.

In questo periodo si parla moltissimo di gastronomia di “super-ristorazione”, ma viviamo in un paese in cui si pagano 9 centesimi al chilo le carote, 27 centesimi al litro il latte… Le aziende agricole stanno morendo.
Per SoulKitchen essere sostenibili significa partire dalla base:
Se stiamo distruggendo le aziende agricole, dobbiamo tornare a dargli "linfa", acquistando prodotti freschi e regionali da coltivatori e allevatori di qualità, pagandoli il giusto valore, in modo che continuino ad esistere e migliorare;
Se stiamo stressando la terra dobbiamo ridare fertilità ai suoli; per farlo dobbiamo ricominciare a seguire la stagionalità dei prodotti e permettere la rotazione delle colture;
Se stiamo sprecando l’acqua, va ricordato che l’80% delle risorse idriche mondiali attualmente è utilizzato per agricoltura e allevamento intensivo dobbiamo ridurre il consumo di proteine di origine animale. Meno ma meglio.
Il cambio di paradigma non è semplicemente morigeratezza e sforzo, ma piuttosto evoluzione del sistema, che permette quindi, a caduta, sia un risparmio delle risorse, sia un aumento della qualità intrinseca del prodotto, sia una reale soluzione ai problemi di occupazione e distribuzione del reddito.
2 Divulgazione di una più evoluta cultura alimentare;
Analizzando il modo con cui si produce, e consuma, cibo in epoca contemporanea risulta evidente una forte crisi antropica ed entropica. 
Per operare contro una confusione dilagante in campo alimentare i nuovi paradigmi sono: rispetto per chi lavora ed il rispetto per la terra.
Attualmente sul nostro Pianeta produciamo cibo per 12.000.000.000 di persone; ma siamo “solo” 7.000.000.000 di esseri umani; 1.000.000.000 dei quali non mangia; mentre 1.700.000.000 persone soffre di malattie connesse all’iperalimentazione. 
Ciò significa che quasi la metà del prodotto edibile viene sprecato. 
Il cibo ha perso valore.

SoulKitchen.bio, oltre a produrre e vendere cibo, utilizza il 20% delle proprie risorse umane per fare formazione alla clientela.




Una clientela che, a sua volta, ogni giorno, è in contatto diretto con il pubblico.
Ecco perché SoulKitchen.bio contribuisce a creare una nuova cultura alimentare.
Il dato medio, da ricerche ONU, indica che oltre il 40% di ciò che produciamo sulla terra viene buttato viadobbiamo ridurre lo spreco. Questo lento processo di miglioramento porterebbe a un automatico risparmio di risorse, a una diminuzione dei prezzi di acquisto, a un equo pagamento della forza lavoro e a un innalzamento della qualità delle produzioni.

SoulKitchen.bio attraverso l’utilizzo e lo sviluppo di software gestionali, sta ottimizzando i propri processi produttivi riducendo gli esuberi di produzione al 6%.




Questa ottimizzazione dei costi consente di offrire ai clienti prodotti d’alta qualità, acquistati in una filiera controllata che da il giusto valore alle materie prime, vendendoli a prezzi simili al "mercato tradizionale".
3 Ausilio al miglioramento dei processi d’impresa.
Le aree aziendali che maggiormente influiscono sui costi del prodotto sono, di norma, ricerca e sviluppo, acquisti e manodopera. Con il prodotto SoulKitchen.bio queste tre voci di costo vengono drasticamente abbattute in quanto la ricerca e lo sviluppo dei prodotti non sono più a carico del cliente. Grazie alle consegne giornaliere e agli ordini tramite app il magazzino è quasi completamente annullato e gli acquisti di merci deperibili sono più controllati. Infine, la manodopera, cuore pulsante dell’impresa, (l’area in cui viene generato il valore che viene trasferito al Cliente) è ottimizzata: diminuiscono così errori e difetti che comportano “rifacimenti” e si eliminano procedure non necessarie, riducendo i costi di personale e il trasporto di merci da un sito a un altro.






DOP: Pecorino Sardo




Il pecorino sardo è un formaggio di lunghissima tradizione storica culturale assieme all'allevamento della pecora che sull'isola ha tradizioni antichissime. Il Pecorino Sardo DOP è prodotto con latte di pecora sardo pastorizzato, caglio, sale, fermenti lattici e viene commercializzato in due versioni: una giovane (o fresco) ed una maturo (stagionato). Il pecorino Sardo DOP giovane ha circa 1-2 mesi, mentre quello maturo ha più di 6 mesi. Il Pecorino Sardo DOP si distingue da tutti gli altri tipi di formaggi prodotti in Sardegna, perché segue le direttive presenti all'interno di un disciplinare di produzione. Il disciplinare di produzione prevede alcuni obblighi, come quello di utilizzare solo latte di pecora sardo, oppure l'obbligo di utilizzare un determinato tipo di etichettatura che deve obbligatoriamente contenere il simbolo del consorzio di Tutela, che ha sede a Cagliari.
Il Pecorino Sardo DOP è l'unico formaggio prodotto in Sardegna a poter vantare questa denominazione. Tutte le altre varianti (pecorino prodotto in Sardegna, Formaggio Sardo, Formaggio di Pecora Sardo) hanno lo scopo di richiamare la denominazione DOP, senza però sottostare alle dure condizioni dettate dal disciplinare di produzione.


venerdì 23 marzo 2018

Conti Fomentini: Ribolla Gialla






Fin dal 1520, i Conti Formentini abitano in un bellissimo castello che domina San Floriano, incantevole borgo nel cuore del Collio Goriziano. Da roccaforte difensiva ad azienda agricola il passo non è certo stato breve ma, grazie ad un accurato intervento di restauro ad opera dei Formentini, questo maniero fu trasformato in una fiorente azienda vitivinicola ed è diventato, ad oggi, una delle cantine più apprezzate di tutto il Friuli. La Ribolla Gialla, varietà autoctona friulana che nel Collio esprime il meglio di sé, dà vita ad un vino fresco, profumato e fragrante, dal bell’equilibrio gustativo e dalla grande piacevolezza di beva.
Colore giallo paglierino dai delicati riflessi verdolini, intriga con profumi di uva spina, more di gelso bianche, acacia e un tocco di vaniglia. Bocca proporzionata e rispondente, di bella freschezza, moderata sapidità e con persistenza vagamente ammandorlata.
Perfetta con le linguine al sugo di tonno, con i saltimbocca alla romana e con il prosciutto di San Daniele.





giovedì 22 marzo 2018

Collaborazioni: Unicorn Latte


La bevanda magica che ha conquistato il mondo.




La magia di questa bevanda viene dal potere degli estratti funzionali di alga spirulina, manca e zenzero, i quali sono ricostituenti, energizzanti, antinfiammatori e antiossidanti!.
Il sapore è quello esotico e delicato del latte di cocco e il suo naturale colore blu, dato dalla spirulina, la rende la bevanda più fotogenica del momento.



mercoledì 21 marzo 2018

DOP: Guanciale all'amatriciana.




Il guanciale di maiale è la gola del maiale, un taglio di carne suina percorso da venature magre (muscolo) con una componente di grasso pregiato, di composizione diversa dal lardo (grasso del dorso) e dalla pancetta (grasso del ventre).
La consistenza è più dura rispetto alla pancetta e il sapore più caratteristico.
Rientra nella preparazione di molti condimenti, tra i quali è famosa l'amatriciana. Vanta il riconoscimento di prodotto tradizionale su proposta delle regioni Abruzzo (guanciale amatriciano), Calabria, Friuli-Venezia Giulia, Lazio (guanciale dei monti Lepini al maiale nero, guanciale classico), Molise, Sardegna, Toscana e Umbria.




martedì 20 marzo 2018

Marocco: storia e origini del couscous.






Il couscous è il piatto più popolare in Marocco e nel Nord Africa, ma diffuso in tutto il mondo. La storia ha elaborato diverse opinioni circa le sue origini. Alcuni ritengono che il couscous, come la pasta, sia stata creato in Cina, mentre altri sono sicuri della sua origine dall’Africa dell’est. Tuttavia, l’evidenza più palese sembra indicare il Nord Africa. Inoltre, proprio qui, delle scoperte archeologiche risalenti al nono secolo, avrebbe portato alla luce degli utensili da cucina per preparare il couscous.
Nell’undicesimo secolo, la conquista arabo-islamica ha contribuito alla diffusione del piatto in tutta la regione nordafricana. La crescita economica e lo sviluppo della produzione di grano ne hanno accelerato l’espansione. Quindi il couscous fu portato in Spagna, nella regione meridionale dell’Andalusia, e lungo il perimetro del Mediterraneo. In uno scritto del XVI secolo di Francois Revelais, si nota come in Provenza fosse diffuso e apprezzato il Coscoton a la Moresque. Il couscous giunse fino in Sud America, attraverso le colonie portoghesi emigrate dal Marocco. L’espansione del couscous è continuata durante il XX secolo, soprattutto a causa di ondate migratorie dal Nord Africa verso l’Europa, la Francia in particolare. Un recente sondaggio ha svelato come il couscous sia oggi il secondo piatto preferito dai transalpini.
Oggi il couscous è l’ambasciatore culinario del Nord Africa ed è un emblema dell’arte culinaria marocchina. La pentola apposita si chiama: la cuscussiera.

lunedì 5 marzo 2018

Riso: Paella. (Spagna).





La paella si presenta in numerosi varianti. La versione originaria, di Valencia, è fatta con riso, carciofi, piselli o fave, coniglio o pollo, cui si aggiungono anche falde di peperone; altre versioni prevedono carni e salsicce, o trance di pesce, crostacei e molluschi.
Elementi comuni sono zafferano e verdure.

Storia del Tè: Afternoon Tea, la tradizione del tè del pomeriggio in Gran Bretagna.




L'Afternoon Tea, il tè pomeridiano accompagnato da un pasto leggero, è una delle tradizioni più tipicamente britanniche che esistano ed è conosciuta a livello mondiale. Questo vero e proprio rituale ha origini nella nobiltà britannica del XIX secolo ma è nato in modo quasi casuale.
L'usanza di bere tè mangiando qualcosa a metà pomeriggio fu presumibilmente inventata intorno al 1840 da Anna Russel, 7ª Duchessa di Bedford, amica e dama di corte della Regina Vittoria. A quei tempi l'etichetta imponeva di cenare verso le 20.00, ma durante il lungo intervallo tra pranzo e cena alla Duchessa Anna veniva sempre un certo languorino. Così prese l'abitudine di farsi servire come spuntino del tè accompagnato da pane, burro e dolci.
Mentre passava l'estate nella sua residenza di Woburn Abbey, la nobildonna cominciò ad invitare alcuni amici per prendere il tè assieme. Tutti gradirono molto l'idea, tanto che una volta ritornata a Londra per l'inverno queste riunioni proseguirono regolarmente e cominciarono a diffondersi nell'alta società della capitale inglese. Quando anche la Regina Vittoria cominciò a organizzare degli Afternoon Tea, questa specie di merenda d'alto bordo si trasformò in un evento galante, al quale ci si doveva presentare con un abbigliamento apposito. In alcuni casi era un vero e proprio ricevimento con centinaia d'invitati.


In realtà esistono diverse testimonianze storiche del fatto che il tè del pomeriggio fosse un'abitudine diffusa già nel XVIII secolo e forse anche nel XVII. Ad ogni modo si può affermare che la Duchessa Anna ha fatto sì che si trasformasse in un'istituzione nazionale.
Per l'alta società l'Afternoon Tea era un normale evento mondano, ma per le persone comuni era un lusso o quasi. Operai e impiegati non avevano il pomeriggio libero, rientravano a casa solo la sera e raramente potevano permettersi le spese derivanti da un pasto extra quotidiano. Quindi la classe lavoratrice ideò una propria versione del tè del pomeriggio, che veniva consumato più tardi e che in pratica sostituiva la cena. Il menù naturalmente era più sostanzioso e oltre ai dolci poteva includere anche verdura e carne.
L'Afternoon Tea dei proletari cominciò ad essere classificato come high tea (tè alto), in contrapposizione a quello dei ricchi che era invece chiamato low tea (tè basso). L'origine di questi termini è da ricercarsi nei mobili usati per il pasto: le persone comuni mangiavano seduti a tavola (che ha le gambe lunghe), mentre i benestanti sedevano sui divani e usavano i tavolini (che hanno le gambe corte). In seguito l'alta società sviluppò un proprio genere di high tea, che comprendeva vivande molto costose ed esclusive come cacciagione e salmone.



Leggendo la sua storia si capisce che non c'è un vero e proprio menù codificato per l'Afternoon Tea, che può prevedere sandwich con diversi tipi di ripieno (meglio se elegantemente tagliati in forma rettangolare e sottile, prendendo così nome di finger sandwich), torte e vari tipi di dolci. Una versione molto famosa è il cosiddetto Cream Tea, durante il quale vengono serviti scone (dolci tipici britannici) accompagnati da clotted cream (una crema preparata con la panna e cucinata a vapore o a bagnomaria) e marmellata.
Naturalmente non dobbiamo dimenticare il protagonista principale di questa tradizione, e cioè il tè, che dovrebbe essere di qualità pregiata e rigorosamente utilizzato in foglia. Quindi bustine e polveri solubili sono assolutamente vietate in un vero Afternoon Tea.



DOP: Caciocavallo.




Il caciocavallo è un formaggio stagionato a pasta filata tipico dell'Italia meridionale di forma tondeggiante, a "sacchetto", prodotto con latte particolarmente grasso di vacche podoliche, con l'aggiunta di solo caglio, fermenti lattici e sale. Per la sua conservazione è talvolta fatto uso di paraffina (sostanza derivata dal petrolio che ha lo scopo in genere di far scivolare un qualcosa su una superficie).
Queste mucche vengono allevate allo stato brado, quasi come fossero pecore, pascolando nella macchia mediterranea fino alle steppe appenniniche in luoghi ricchi di arbusti e piantine di sottobosco. La presenza di piante aromatiche nella zona dove si è nutrito l'animale caratterizza le sue note aromatiche e i suoi profumi, tanto che, a titolo esemplificativo, in primavera esso assume un caratteristico colore rosato dovuto alle fragoline di bosco ingerite dalle bestie, e dai camparini.


Tipico di tutte le regioni che formavano il Regno delle Due Sicilie, ebbe una tale fama, da ispirare anche modi di dire popolari, come ad esempio "far la fine del caciocavallo", in analogia alla sua forma strozzata da una corda nella parte alta. 


Le varietà più conosciute sono quelle del caciocavallo di Agnone, del caciocavallo di Castelfranco, del caciocavallo Silano, del caciocavallo siciliano, che a sua volta può essere caciocavallo di Godrano, e del caciocavallo podolico.
Caciocavallo viene menzionato per la prima volta da Ippocrate nel 500 a.C.
La prima certificazione ufficiale risale al DPR del 30 ottobre 1955.


Formaggi: Tacos con queso. (Messico).





La salsa enchilada è una tipica salsa messicana piccanta, a base di pomodoro, aglio e cipolle, aromatizzata con cumino e paprika e impiegata per insaporire e ammorbidire tortillas e tacos.



La storia del caffè: Inizi in Jamaica





La Colonia della Giamaica conobbe il caffè a partire dal 1728, anno in cui il suo governatore inglese Nicholas Lawes (1652-1731) fece acclimatare la pianta nell'isola.
L'amministrazione britannica tentò di attivare la produzione di caffè utilizzando incentivi fiscali, mentre al contempo tassò la coltivazione dello zucchero con il Sugar and Molasses Act (1733), per ridurre il potere dei distillatori di rum della Nuova Inghilterra. Ma tali vantaggi fiscali relativi non si rivelarono sufficienti per entrare in competizione diretta col caffè haitiano, sempre più economico e competitivo; questo suscitò la gelosia dei piantatori giamaicani i quali incolparono la "Nuova Inghilterra" dei danni da loro subiti a causa del favoriritismo nei confronti del caffè francese.


Il dibattito degenerò; l'assemblea dei piantatori giamaicani dichiarò che la pratica da parte dei commercianti del Rhode Island di fare prezzi troppo bassi fosse un vero e proprio atto di "fellonia" (rottura di contratto) e attivarono nei giornali di Boston una campagna pubblicitaria per lamentarsi e denunciarne il fatto; questo mentre in città si firmavano petizioni contro un sistema fiscale che, a suo dire, favoriva troppo i giamaicani.
Nel 1773 il langravio Federico II d'Assia-Kassel vietò l'indebitamento con tasso d'interesse sul caffè, penalizzano così i suoi principali fornitori rappresentati dalle Indie occidentali britanniche, da Grenada e da Dominica. I commercianti tedeschi, che tradizionalmente acquisivano gran parte del raccolto grenadino, rimasero impediti dall'assumere consegne. La colonia giamicana divenne pertanto per il 90% dipendente dal mercato inglese europeo, mentre vendette soltanto il 10% del suo caffè nelle Tredici Colonie.


L'esportazione di caffè giamaicano mostrò un modesto aumento negli anni 1770, per poi ridiscendere nel corso degli anni 1780. Nel 1783 il mercato londinese ridusse di 2/3 le imposte sul caffè, misura che produsse i suoi effetti solo dopo 5-6 anni, il tempo necessario per far riposare le piante. La conseguenza finale fu che le esportazioni di caffè giamaicano pesarono soltanto per il 2% rispetto a quelle di Saint-Domingue.




Riso: Riso speziato al pollo. (Indonesia).






Il riso Patna è una varietà appartenente allo sottospecie indica (coltivazioni tipiche delle regioni asiatiche). Questa varietà ha pasta più dura e involucro più vetroso, che cede amido con maggior difficoltà, quindi mantiene i chicchi separati anche dopo cotture molto prolungate. 
I granelli del riso Patna, allungati, stretti ed appuntiti, presentano un profumo gradevolmente aromatico.



domenica 4 marzo 2018

Incontri: Tony Capuozzo - Giornalista




(Antonio) Palmanova (Udine) 7 dicembre 1948. Giornalista. Inviato del Tg5, conduce il programma di approfondimento Terra!. Tiene un blog su TgCom, Mezzi Toni. «Grande inviato, uno dei più bravi giornalisti televisivi, il conduttore di una vera trasmissione di approfondimento» (Aldo Grasso).
Nel ’68 è un contestatore studente liceale con tanta voglia di viaggiare, ma arriva sempre in ritardo. In quell’anno è in Germania e in Francia, dove però arriva a maggio finito. Torna in Italia, si iscrive a Sociologia a Trento, ma il bello è già passato. Fa l’operaio a Marghera, ma questa volta è in anticipo sull’esplosione degli scioperi. 




Incomincia a entrare in sintonia con gli avvenimenti quando organizza lotte dei soldati in Sicilia e soprattutto quando lavora come volontario dopo il terremoto in Friuli del 1976. Dopodiché fa il giornalista» (Diario).
“Meglio un Toni Capuozzo vivo che un Hemingway morto” scrisse Adriano Sofri, e fu la consacrazione. “Ma era solo un modo affettuoso per presentare un mio reportage dall’Amazzonia. Era appena uscito un inedito di Hemingway, piuttosto deludente. E poi con Adriano siamo sempre stati amici”. Entrambi in Lotta continua, entrambi figli di una triestina e di un militare meridionale (marinaio il padre di Sofri, poliziotto quello di Capuozzo). “Ma lui era il capo, io un militante. Più che Lotta continua ci univa il Friuli. 


Da bambino Adriano passava mesi a Masarolis, il paese della sua fantesca slava. L’ho riaccompagnato laggiù da grande. Poi ci siamo ritrovati a Sarajevo”. Il paragone scherzoso con Hemingway fu scritto su Reporter. Direttore Enrico Deaglio. Sofri firmava l’inserto culturale. Capuozzo divideva la stanza con Giuliano Ferrara (“Non c’era quasi mai, parlavamo poco, ho sempre creduto che mi preferisse il suo cane lupo. Invece è stato lui a chiamarmi in tv, nel 1991, all’Istruttoria”. Ora gli ha affidato una rubrica fisiognomica sul Foglio, Occhiaie di riguardo)» (Aldo Cazzullo).
Sposato, due figli. A Le invasioni barbariche, nel 2007, ha raccontato di aver portato con sé un bambino di sette mesi da Sarajevo durante la guerra e di averlo cresciuto fino ai cinque anni. Il bambino, orfano di madre e senza una gamba a causa di una bomba, aveva bisogno di una protesi.




DOP: Pecorino toscano





Oggi come ieri il Pecorino Toscano ha sempre caratterizzato la tradizione casearia della Toscana, fino a diventarne un ambasciatore in tutto il mondo con la sua Denominazione di Origine Protetta. Il suo sapore unico e delicato racconta una storia lunga un secolo che va dagli Etruschi ai giorni nostri all’insegna della qualità e del legame strettissimo con il territorio.




ll nostro formaggio affonda le sue radici nella storia e nel profondo legame tra ambiente, pecore e pastori. In Toscana la pastorizia, una delle forme più antiche di allevamento e di presidio del territorio, ha radici secolari che si traducono in una tradizione casearia che si tramanda di generazione in generazione e in un formaggio considerato tra le migliori eccellenze italiane. Il nostro pecorino è sinonimo di storia rurale e di una comunità che, in solitudine, su terre marginali e difficili, dalle montagne dell’Appenino ai calanchi delle Crete in Val d’Orcia fino alle distese selvagge della Maremma, hanno pascolato nei secoli grandi greggi di pecore.
A dare unicità al Pecorino Toscano DOP è lo strettissimo legame tra ambiente geografico, caratteristiche del latte da trasformare e metodi di produzione che uniscono artigianalità e innovazione. Le caratteristiche della terra in cui pascolano le nostre pecore danno al latte quel gusto dolce, delicato ed equilibrato che rende unico il Pecorino Toscano DOP un formaggio ‘fuori dal gregge’.


La Terra di origine

Dall’allevamento delle pecore alla mungitura, passando dalla produzione fino alla stagionatura. Tutto deve avvenire, come stabilisce il Disciplinare di produzione del Pecorino Toscano DOP, nella zona di origine, che comprende tutta la Toscana, i Comuni di Allerona e Castiglione del Lago in Umbria e quelli di Acquapendente, Onano, San Lorenzo Nuovo, Grotte di Castro, Gradoli, Valentano, Farnese, Ischia di Castro, Montefiascone, Bolsena e Capodimonte nel Lazio. Le diverse condizioni climatiche e le tradizioni casearie di ciascun territorio, pur nel rigoroso rispetto delle linee guida previste dal Disciplinare di produzione, regalano al Pecorino Toscano DOP varietà e sfumature di gusti e aromi che lo rendono ancora di più un formaggio ‘fuori dal gregge’.


Incontri: Elisabetta Franceschini - Artista




L'arte è l'espressione del pensiero più profondo nel modo più semplice" (Albert Einstein) Nata a Venezia, fin da bambina il disegno è sempre stato il suo modo di esprimersi.Dopo aver frequentato il Liceo Artistico, fondamentale per la sua formazione Artistica, da sempre influenzata dal surrealismo ispirata dal grande Salvador Dalì, ha cercato nelle sue opere di esprimere e far emergere emozioni e sensazioni utilizzando, ricercando e sperimentando varie tecniche pittoriche tra cui la pittura ad olio, l'acquerello e il disegno a grafite. 





Da vent'anni lavora presso il suo laboratorio artistico, nella splendida cornice veneziana,ricreando le maschere del teatro della commedia dell'arte e interpretandole nel rispetto della tradizione, ricercando,anche in questo contesto, creazioni originali per esprimere pienamente la fantasia dei colori e delle forme. Nella sua carriera artistica ha partecipato a diverse mostre collettive: "Premio Nazionale di pittura Salvatore Fiume" "Rassegna internazionale Pittura-Grafica-scultura-naïf". Terzo posto al "Concorso Internazionale Modernate" Iscritta al catalogo Pittori del 900 "Il Quadrato" Frequenta una scuola di fumetto "Comix school" imparando la tecnica dell'inchiostrazione giapponese stile Manga, che metterà in pratica anche in alcuni suoi dipinti. Attualmente alcune delle sue opere sono esposte in gallerie a Firenze ed a Roma. 






Avendo così la possibilità di confrontarsi con altri artisti, crescendo e spingendola a cercare sempre nuove forme di espressione. Il percorso evolutivo di un artista non deve prescindere dalla continua ricerca di tecniche e soggetti a cui far esprimere sentimenti, sensazioni ed emozioni sempre nuove per lei e per chi apprezza la sua arte. L'Arte è un qualcosa da condividere, è una testimonianza è un'espressione, per anni ha cercato di esporre la sua arte, ma la sensazione era sempre quella di aver solo speso... per questo dopo aver incontrato persone pronte a sostenere come lei una idea, un progetto, una motivazione che pian piano si è concretizzata, ha deciso di creare Altheo Network, il primo Network che unisce Artisti e viaggiatori, un occasione per tutti noi di esserci, un modo per dimostrare la nostra arte e il nostro valore. Perché come diceva Giorgio Gaber "libertà è partecipazione".




Storia del caffè: Avventurieri francesi in territorio malgascio.

Il trattato di Parigi (1814) non si pronunciò sul possesso del Madagascar, lasciando pertanto direttamente alle potenze europee una l...