domenica 8 aprile 2018

Storia del caffè: Avventurieri francesi in territorio malgascio.




  • Il trattato di Parigi (1814) non si pronunciò sul possesso del Madagascar, lasciando pertanto direttamente alle potenze europee una libera ed autonoma azione. Il baronetto Robert Townsend Farquhar, governatore britannico di Mauritius, volle tentare di ostacolare l'influenza francese nell'Oceano Indiano; riuscì a convincere il sovrano del regno del Madagascar Radama I ad attaccare i principati della costa orientale dominani dai "Malata" (stirpe di mulatti discendenti da europei e donne indigene) alleati dell'impero coloniale francese nella tratta atlantica degli schiavi africani ed in seguito a far firmare il 23 ottobre del 1817 un accordo che riconoscesse di fatto la sovranità sulla regione.
    L'aiuto inglese permise a Radama I di avviare una modernizzazione militare del paese in cambio dell'abolizione della tratta degli schiavi. Oltre ai francesi anche i tedeschi e gli statunitensi lo ratificarono. Nel 1820 una piantagione venne nel frattempo creata nell'Île Sainte-Marie per opera dell'ufficiale d'artiglieria Jean-Louis Joseph Carayon - a 10 km dalla costa - arrivando ad avere 100.000 piante nel 1824.


    In quello stesso anno la coltivazione iniziò anche sull'isola maggiore grazie a Julien Gaultier de Rontaunay, un'importante operatore di commercio al dettaglio di Mauritius anche se registrato come residente a Saint-Denis (Riunione). Egli piantò 150.000 alberi a Manajanty, sulla costa orientale e, dopo essere entrato in affari con Jean-Joseph Arnoux fondò la prima attività commerciale di un qualche spessore nella regione. Diede vita per tale scopo ad una flotta commerciale che nel 1857 consisteva di 19 navi, più 47 noleggiate a tempo determinato.
    L'avventuriero Jean Laborde, personaggio influente sulla monarchia Merina, impiantò il caffè negli altopiani dell'interno in collaborazione con de Rontaunay, probabilmente intorno al 1840.
    Napoléon de Lastelle - che sarà insignito del titolo di principe dalla famiglia reale - ebbe 1.500 schiavi adibiti alla coltivazione dello zucchero, in collegamento con la società di trading di Rontaunay a Mahela, ed altri 300 per le piantagioni di caffè posizionate lungo le rive dei fiumi


martedì 3 aprile 2018

Storia del Tè: Il tè nero.





In occidente, l'acqua per il tè nero viene di solito aggiunta quasi al punto di ebollizione, a circa 99 °C, in quanto molte delle sostanze attive del tè nero non si sviluppano a temperature inferiori a 90 °C. Le temperature più basse vengono utilizzate per tè più delicati, quali il tè verde e il tè bianco, in quanto influenzano il sapore finale della bevanda. L'errore più comune nel preparare il tè nero è usare acqua troppo fredda, anche dovuto al fatto che, aumentando l'altitudine, il punto di ebollizione scende. I britannici raccomandano, inoltre, di scaldare la teiera prima di preparare il tè, sciacquandola con acqua bollente.
I tè occidentali sono solitamente infusi per quattro minuti, ma in molte regioni del mondo viene usata acqua bollente e le foglie di tè vengono spesso inzuppate: ad esempio, in India il tè nero viene bollito per più di quindici minuti. Varietà popolari di tè nero sono l'Assam, il tè del Nepal, il Darjeeling, il Nilgiri, il tè turco e il tè di Ceylon.


lunedì 2 aprile 2018

Collaborazioni: Ginseng e Matcha Food Ness




Una bevanda che racchiude tutte le proprietà del ginseng e i benefici del tè matcha: la radice del ginseng è fonte di energia, il tè matcha è ricco di polifenoli e antiossidanti.
La ricetta perfetta per un anti-age naturale.





martedì 27 marzo 2018

Storia del caffè: Fragile genetica dell'"arabica".





Delle 90 specie di caffè inventate, meno di 10 sono poi state effettivamente coltivate e solo 2 sono sopravvissute fino al XX secolo: la Coffea arabica e la Coffea canephora. La 1° è nata da un antico incidente cromosomico, che ha quadruplicato la propria sequenza di DNA; questa è l'unica varietà autogoma. I suoi fiori si autfecondano, anche se nel 10-20% dei casi si verifica l'allogamia ovvero l'impollinazione grazie ad insetti.Le altre piante di Coffea non possono invece autofecondarsi, ma scambiano permanentemente i geni col polline, il che le rende più resistenti ai parassiti. Di fronte al brusco aumento dl consumo nel corso del XVIII secolo l'"arabica" si è espansa troppo rapidamente, riducendo la sua base genetica a quasi 0; solamente alcune piante delle 2 varietà "Typica" e "Bourbon pointu" risultarono essere esportate e duplicate in tutto il mondo.


Nel 1706 una singola pianta fu portata da Giava ad Amsterdam e poi, nel 1714, venne donata ai vari orti botanici europei, da dove si trasferì successivamente nelle Americhe. Questo è stato chiamato gruppo "Typica". Nel 1715 la Compagnia francese delle Indie orientali stabilì il caffè dello Yemen (il "Mokha") sull'isola di Riunione, dove ha cominciato a crescere considerevolmente a partire dal 1724 o 1726. È la varietà chiamata "Bourbon Coffee", che a sua volta mantiene una sua quota in America, anche se in un misura ridotta.


In secondo luogo i coltivatori di queste 2 varietà selezionarono semplicemente i mutanti spontanei in quanto i loro incroci non consentivano nuovi genotipi sufficienti data la bassa diversità genetica: di conseguenza il caffè è rimasto "puro" per oltre 3 secoli. Derivato dal "Boubon" è il "Marogogype" dai grani grossi avvistato in Brasile oppure la varietà denominata "Caturra", con un'alta produttività e facilità di raccolta.
Provengono invece dalla "Typica" la "Kent" dell'India e la "Blue Mountain" della Giamaica; quest'ultimo ha permesso i primi successi d'intensificazione della coltura, in special modo nell'America Latina. Tra i vari ibridi "Typica-Bourbon" c'è la varietà "Mondo Nuovo" brasiliana. Inoltre l'ibridazionetra la "canephora" e una delle 2 arabiche, chiamata "Arabusta", risulta essere molto raro in natura: si chiamano barriere cromosomiche.
Più tardi gli esperti di botanica impareranno a creare artificialmente per raddoppio cromosomico della canephora attraverso il trattamento di Colchicina. Nel frattempo il primo passo è stato la scoperta nel 1917 nell'arcipelago di Timor di una popolazione di arabusta selvatica detta Hdt e assai resistente alla "ruggine del caffè" la quale aveva devastato le piantagioni asiatiche negli anni 1870.


Questa prima fonte genetica differente sia da Typica che da Bourbon ha permesso d'incrociare l'arabica e creare varietà come la "Catimor" brasiliana o la "Ruiru" del Kenya. La sua scoperta ha fatto crescere la fiducia e la ricerca sul caffè selvatico, condotta nei primi decenni del XX secolo lungo il bacino del Congo e che ha condotto alla produzione della "robusta" negli anni 1930. Quest'ultima peserà al 38,6% nella produzione mondiale di caffè al principio del XXI secolo.
Il suo contenuto di caffeina, che dipende molto più dal genotipo che dai fattori ambientali, è di circa il 2,5% rispetto all'1,5% presente nell'arabica e risulta più resistente alle malattie grazie a una base genetica più diversificata. Gli esperti di agronomia la considerarono essenziale per ringiovanire e differenziare le vecchie varietà di arabica. Tra il 1960 e il 1990, sotto gli auspici della FAO, decisero di tornare alle fonti delle popolazioni selvatiche dell'Etiopia per la creazione di ulteriori varietà migliorate.


lunedì 26 marzo 2018

Collaborazioni: Soulkitchen Bio





Recentemente, sta emergendo a livello mondiale un nuovo concetto che si basa sui principi della Responsabilità Sociale d'Impresa, ovvero il concetto di Valore Condiviso.

L’idea di Valore Condiviso sistematizza quanto è già stato sviluppato dalla teoria e dalla pratica in termini di Corporate Social Responsibility, contestualizzando il tema della sostenibilità sociale e ambientale su un livello più strategico che deve avere impatti fino alla reale bottom line di business.





Nel sistema di gestione aziendale di SoulKitchen.bio, l'attenzione alla comunità e agli stakeholders è divenuta di importanza cruciale.
I principi alla base della CSR di SoulKitchen.bio hanno come scopo quello di migliorare la qualità della vita della comunità.
SoulKitchen.bio ha messo al centro della propria policy la comunità non solo i suoi particolari stakeholder. Questo per evitare di adeguarsi ad una “etica” particolare, provinciale portando la CSR ad essere un insieme di “etiche” di “comodo” e d'"immagine" con tante regole particolari (morali, ideologiche) rinunciando “ad applicare un modello sociale condiviso”. 
SoulKitchen.bio ritiene che un prodotto non debba essere apprezzato unicamente per le caratteristiche qualitative esteriori o funzionali ma anche per le sue caratteristiche non materiali, quali le condizioni di fornitura, i servizi di assistenza e di personalizzazione, l'immagine ed infine la storia del prodotto stesso.
L'enunciazione di tale policy parte dal presupposto che l'attività d' impresa, pur restando imperniata sull'aspetto economico, non possa trascurare una serie di istanze interne ed esterne all'impresa, capaci di caratterizzare l'ambiente in cui l'impresa opera.
I parametri che SoulKitchen.bio ha voluto aggiungere al profitto aziendale riguardano una serie di variabili interne all'azienda, come relazioni umane, coinvolgimento degli addetti, consapevolezza dei ruoli, gratificazione e fidelizzazione, a cui si accompagnano parametri esterni come rapporti con clienti e fornitori. 
Il successo della nostra CSR viene calcolato attraverso il grado di soddisfazione dei vari target a cui ciascuna attività svolta è rivolta come processo e prodotto dell'impresa, secondo ben definite modalità quanti-qualitative.
La consapevolezza dei consumatori, circa la centralità di tali aspetti e la “tracciabilità storica” della catena dei processi, sta guadagnando importanza.

Risulta pertanto evidente come l'impegno “etico” dell'impresa sia basilare nella “catena del valore” prospettando così l'utilizzo di nuovi percorsi e leve competitive coerenti con uno “sviluppo sostenibile” per la collettività. 





SoulKitchen basa il proprio modello di business su 3 principi:
1 Etica e sostenibilità;
La situazione agroalimentare nel nostro paese, più in generale in Europa e ancora più in generale nel mondo è drammatica, sia in campo ambientale sia in campo sociale.

I suoli pochi anni fa erano più fertili: manca l’acqua, perdiamo l’humus.

L’agricoltura e l’allevamento intensivo fanno un consumo smodato di acqua.

In questo periodo si parla moltissimo di gastronomia di “super-ristorazione”, ma viviamo in un paese in cui si pagano 9 centesimi al chilo le carote, 27 centesimi al litro il latte… Le aziende agricole stanno morendo.
Per SoulKitchen essere sostenibili significa partire dalla base:
Se stiamo distruggendo le aziende agricole, dobbiamo tornare a dargli "linfa", acquistando prodotti freschi e regionali da coltivatori e allevatori di qualità, pagandoli il giusto valore, in modo che continuino ad esistere e migliorare;
Se stiamo stressando la terra dobbiamo ridare fertilità ai suoli; per farlo dobbiamo ricominciare a seguire la stagionalità dei prodotti e permettere la rotazione delle colture;
Se stiamo sprecando l’acqua, va ricordato che l’80% delle risorse idriche mondiali attualmente è utilizzato per agricoltura e allevamento intensivo dobbiamo ridurre il consumo di proteine di origine animale. Meno ma meglio.
Il cambio di paradigma non è semplicemente morigeratezza e sforzo, ma piuttosto evoluzione del sistema, che permette quindi, a caduta, sia un risparmio delle risorse, sia un aumento della qualità intrinseca del prodotto, sia una reale soluzione ai problemi di occupazione e distribuzione del reddito.
2 Divulgazione di una più evoluta cultura alimentare;
Analizzando il modo con cui si produce, e consuma, cibo in epoca contemporanea risulta evidente una forte crisi antropica ed entropica. 
Per operare contro una confusione dilagante in campo alimentare i nuovi paradigmi sono: rispetto per chi lavora ed il rispetto per la terra.
Attualmente sul nostro Pianeta produciamo cibo per 12.000.000.000 di persone; ma siamo “solo” 7.000.000.000 di esseri umani; 1.000.000.000 dei quali non mangia; mentre 1.700.000.000 persone soffre di malattie connesse all’iperalimentazione. 
Ciò significa che quasi la metà del prodotto edibile viene sprecato. 
Il cibo ha perso valore.

SoulKitchen.bio, oltre a produrre e vendere cibo, utilizza il 20% delle proprie risorse umane per fare formazione alla clientela.




Una clientela che, a sua volta, ogni giorno, è in contatto diretto con il pubblico.
Ecco perché SoulKitchen.bio contribuisce a creare una nuova cultura alimentare.
Il dato medio, da ricerche ONU, indica che oltre il 40% di ciò che produciamo sulla terra viene buttato viadobbiamo ridurre lo spreco. Questo lento processo di miglioramento porterebbe a un automatico risparmio di risorse, a una diminuzione dei prezzi di acquisto, a un equo pagamento della forza lavoro e a un innalzamento della qualità delle produzioni.

SoulKitchen.bio attraverso l’utilizzo e lo sviluppo di software gestionali, sta ottimizzando i propri processi produttivi riducendo gli esuberi di produzione al 6%.




Questa ottimizzazione dei costi consente di offrire ai clienti prodotti d’alta qualità, acquistati in una filiera controllata che da il giusto valore alle materie prime, vendendoli a prezzi simili al "mercato tradizionale".
3 Ausilio al miglioramento dei processi d’impresa.
Le aree aziendali che maggiormente influiscono sui costi del prodotto sono, di norma, ricerca e sviluppo, acquisti e manodopera. Con il prodotto SoulKitchen.bio queste tre voci di costo vengono drasticamente abbattute in quanto la ricerca e lo sviluppo dei prodotti non sono più a carico del cliente. Grazie alle consegne giornaliere e agli ordini tramite app il magazzino è quasi completamente annullato e gli acquisti di merci deperibili sono più controllati. Infine, la manodopera, cuore pulsante dell’impresa, (l’area in cui viene generato il valore che viene trasferito al Cliente) è ottimizzata: diminuiscono così errori e difetti che comportano “rifacimenti” e si eliminano procedure non necessarie, riducendo i costi di personale e il trasporto di merci da un sito a un altro.






DOP: Pecorino Sardo




Il pecorino sardo è un formaggio di lunghissima tradizione storica culturale assieme all'allevamento della pecora che sull'isola ha tradizioni antichissime. Il Pecorino Sardo DOP è prodotto con latte di pecora sardo pastorizzato, caglio, sale, fermenti lattici e viene commercializzato in due versioni: una giovane (o fresco) ed una maturo (stagionato). Il pecorino Sardo DOP giovane ha circa 1-2 mesi, mentre quello maturo ha più di 6 mesi. Il Pecorino Sardo DOP si distingue da tutti gli altri tipi di formaggi prodotti in Sardegna, perché segue le direttive presenti all'interno di un disciplinare di produzione. Il disciplinare di produzione prevede alcuni obblighi, come quello di utilizzare solo latte di pecora sardo, oppure l'obbligo di utilizzare un determinato tipo di etichettatura che deve obbligatoriamente contenere il simbolo del consorzio di Tutela, che ha sede a Cagliari.
Il Pecorino Sardo DOP è l'unico formaggio prodotto in Sardegna a poter vantare questa denominazione. Tutte le altre varianti (pecorino prodotto in Sardegna, Formaggio Sardo, Formaggio di Pecora Sardo) hanno lo scopo di richiamare la denominazione DOP, senza però sottostare alle dure condizioni dettate dal disciplinare di produzione.


Storia del caffè: Avventurieri francesi in territorio malgascio.

Il trattato di Parigi (1814) non si pronunciò sul possesso del Madagascar, lasciando pertanto direttamente alle potenze europee una l...